15 Giugno 2021

L’accettazione dell’eredità da parte dell’Ente Ecclesiastico

Gli Enti Ecclesiastici (EE) sono spesso nominati eredi dai fedeli e, perciò, ricevono lasciti testamentari da benefattori che intendono contribuire agli scopi della Chiesa (Can. 1261 – §1: “I fedeli sono liberi di devolvere beni temporali a favore della Chiesa”). 

A tale riguardo vigono però in Italia delle regole specifiche, che differenziano l’ordinamento italiano da altri sistemi giuridici (e in particolare da quelli di Common Law e di tradizione anglosassone).

In questo articolo illustriamo una iniziale disamina delle norme da tenere in considerazione, di modo che l’EE possa avvicinarsi alla materia senza rischi e nel rispetto dei diritti altrui.

La possibilità di accettare l’eredità e la sua natura di atto di straordinaria amministrazione

Prima di esaminare la normativa del Codice civile, giova ricordare che ai sensi del diritto canonico la “Chiesa può acquistare beni temporali in tutti i giusti modi di diritto sia naturale sia positivo, alla stessa maniera di chiunque altro” (Can. 1259).

Pertanto, dato che tra i modi tradizionali di acquisto della proprietà vi è l’eredità, ben potrà l’Ente Ecclesiastico che riceve un lascito testamentario accettare tale lascito, nonché acquistare la natura di erede del de cuius. 

Tale atto (l’accettazione dell’eredità) è tipicamente, per il diritto laico, un atto di straordinaria amministrazione.

E, tali tipologie di atti, come abbiamo visto in un articolo precedente, di regola richiederebbero alcune autorizzazioni specifiche da parte del legale rappresentante pro tempore dell’EE. 

Infatti, gli statuti degli EE o delle Congregazioni Religiose possono stabilire che certi atti specifici siano considerati atti di straordinaria o di ordinaria amministrazione (“spetta al diritto proprio determinare, entro l’àmbito del diritto universale, quali sono gli atti che eccedono il limite e le modalità dell’amministrazione ordinaria, e stabilire ciò che è necessario per porre validamente un atto di amministrazione straordinaria” – Can. 638 – §1). Quindi occorrerà procedere all’esame dei singoli statuti, ma, in caso di dubbi interpretativi, occorrerà considerare l’accettazione del lascito testamentario quale atto di straordinaria amministrazione, onde evitare l’invalidità o l’inefficacia dell’atto stesso.

La quota legittima

Venendo al diritto italiano, una prima norma da tenere in considerazione è quella statuita agli articoli 536 e seguenti del Codice civile.

Infatti, il diritto italiano da un lato prevede in astratto la possibilità per il de cuius di nominare chiunque suo erede – anche per l’intero patrimonio – mediante testamento, ma d’altro lato prevede anche una tutela per le persone più vicine al testatore (e cioè i figli, i genitori e il coniuge). Infatti, questi ultimi hanno il diritto di impugnare il testamento, quando ritenessero violata la cosiddetta “quota legittima”. 

Quest’ultima è una quota del patrimonio del de cuius – variabile a seconda del numero degli eredi – che è per legge riservata ai soggetti visti sopra. Tali soggetti, pertanto, se si sentono lesi dalle disposizioni testamentarie del de cuius, potranno agire per “lesione di legittima”, e quindi ridimensionare il lascito che il fedele ha disposto a favore dell’EE mediante la cosiddetta azione di riduzione.

Come si sarà capito, tale eventualità può essere molto gravosa per l’EE, in particolare se quest’ultimo ha iniziato a disporre dei beni ricevuti come lascito ereditario.

Nel caso in cui l’EE venga nominato erede, la cosa più opportuna da fare quindi è definire il prima possibile i rapporti con gli altri eredi, così da dare certezza ai rapporti giuridici tra le parti che sono chiamate all’’eredità.

In mancanza, gli eredi a cui è riservata la quota legittima (i cosiddetti legittimari) avranno sino a dieci (cinque, in caso di alcuni motivi specifici quali l’incapacità del testatore) anni di tempo per impugnare il testamento. Quindi, nel caso non si definiscano esplicitamente i rapporti tra gli eredi, nessuna certezza vi può essere prima del trascorrere di dieci anni!

Proprio per questo, l’EE o la Congregazione Religiosa che venisse nominata erede o che comunque ricevesse un lascito testamentario dovrebbe immediatamente attivarsi per verificare se:

    – il testatore ha figli o coniuge o comunque altri eredi;

    – la quota legittima riservata a questi ultimi sia stata violata.

Questo primo passo è indispensabile per poter definire una strategia difensiva in caso di contestazione da parte dei legittimari. Si tratta di un vero e proprio lavoro preparatorio che richiede anche un’indagine sul patrimonio del de cuius. Infatti, se si dimostrasse che il patrimonio del testatore è comunque sufficiente a soddisfare anche la quota legittima riservata agli altri eredi, l’EE sarebbe al riparo da future richieste di restituzione.

La mediazione tra eredi

Naturalmente, anche se i dati raccolti dall’EE in perfetta buona fede dimostrassero che è tutto in regola e che l’EE può serenamente accettare il lascito testamentario, è possibile trovare dall’altra parte eredi legittimari particolarmente litigiosi e che hanno intenzione di adire l’autorità giudiziaria.

In questi casi una soluzione molto efficace è quella della mediazione in materia di successioni ereditarie, prevista dal decreto legislativo n. 28/2010. 

Non si tratta di un giudizio, ma di un vero proprio incontro in cui le parti, assistite da un mediatore, cercano di comporre in via bonaria la controversia. Raggiunto l’accordo, questo sarà allegato a un verbale, che avrà pieno valore legale tra le parti, che potranno porlo in esecuzione se la controparte non adempisse all’accordo preso.

A questo punto, un’ottima soluzione sarebbe affidarsi ai mediatori professionisti presso istituti come Il CAEE® (Conciliazione e Arbitrato per Enti Ecclesiastici), un sistema costruito specificamente per gli Enti Ecclesiastici, ove sarà possibile svolgere la procedura di mediazione in tempi brevi e secondo quanto disposto dalla normativa di settore.

I debiti del de cuius  

La circostanza di essere nominati eredi può a volte riservare brutte sorprese.

Infatti, il patrimonio del de cuius non si trasferisce semplicemente all’erede, ma si “fonde” col patrimonio di quest’ultimo… ivi compresi i debiti del testatore! Se infatti il patrimonio del testatore ha anche una parte passiva e non solo attiva, l’erede dovrà rispondere di tali debiti.

In verità, tale situazione non è atipica e non deve essere per forza motivo di stigmatizzazione: si faccia ad esempio il caso di una persona con un solido patrimonio che, però, viene a mancare mentre il pagamento rateale di un’auto è ancora in corso. Le restanti rate sono “debiti”, ma sono senz’altro coperti dal restante patrimonio del de cuius.

Il problema, quindi, sorge quando le passività del patrimonio del testatore superano le attività. In questo caso, gli eredi chiamati all’eredità (ivi compresi quelli testamentari come nel caso degli EE) e che accettano l’eredità stessa sono chiamati a rispondere dei debiti residui che non si riescono ad onorare col patrimonio attivo del testatore.

Pertanto, in particolare per entità giuridiche come gli Enti Ecclesiastici o le Congregazioni religiose, è opportuno accettare l’eredità con beneficio di inventario: una modalità di accettazione dell’eredità che consente a chi se ne avvale di tenere il proprio patrimonio distinto da quello ricevuto in eredità. 

In buona sostanza, nel caso in cui ci fossero dei debiti del de cuius non onorati al momento del decesso, l’erede che accetta con beneficio di inventario dovrà soddisfare i debitori solo col patrimonio del de cuius (che viene per l’appunto “inventariato”) e non anche con il proprio patrimonio.

Si tratta di una vera e propria separazione dei patrimoni – che quindi non sono più oggetto di fusione – che comporta l’indubbio vantaggio di poter accettare l’eredità senza preoccupazioni, in quanto anche le eventuali “sorprese” – come la scoperta di grossi debiti del de cuius – non intaccherebbero il patrimonio dell’EE, che quindi potrà indicare ai creditori del testatore di soddisfarsi sui soli beni o somme che il testatore gli ha fatto oggetto di lascito testamentario.

Occorre infine ricordare che anche in questo caso è bene agire con prontezza, distinguendo tra l’ipotesi in cui i beni siano già in possesso dell’erede o meno. Infatti, nel caso in cui i beni siano già in possesso dell’EE (si pensi alla possibilità di un immobile detenuto dall’Ente in locazione quale sede o luogo in cui svolge attività di assistenza e/o caritatevoli, e che il proprietario al momento della morte lasci tale immobile all’EE stesso per testamento), l’inventario deve avvenire entro 3 mesi dalla morte del de cuius, altrimenti si viene considerati eredi puri e semplici – con la conseguente fusione patrimoniale vista sopra. 

Se, invece, non si è in possesso dei beni, la dichiarazione di accettazione con beneficio può essere fatta entro 10 anni. In entrambi i casi però (sia se si è in possesso dei beni che nel caso che non lo si sia) una volta fatto l’inventario occorre accettare l’eredità con beneficio entro i 40 giorni seguenti il compimento dell’inventario stesso, altrimenti si viene considerati eredi puri e semplici.

Qualora vogliate approfondire con noi gli aspetti evidenziati in questo articolo o necessitiate di un consiglio perché la vostra congregazione ha ricevuto un’eredità, potete, come al solito, contattarci a info@dikaios.international oppure al numero +39 06 3671 2232.

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