Gli enti religiosi riconosciuti dallo Stato, ovvero Enti Ecclesiastici Civilmente Riconosciuti (EECR), sono veri e propri soggetti di diritto. Tale natura va sempre tenuta in debita considerazione, in particolare quando ci si rivolge e ci si interfaccia con soggetti terzi.
Anche nella gestione dei fabbisogni quotidiani dell’Ente, occorre quindi individuare ed applicare la normativa di riferimento, onde evitare conseguenze negative per l’Ente.
Infatti, gli EECR si rivolgono regolarmente all’opera o comunque all’aiuto di persone estranee all’ente, al fine di soddisfare sia esigenze relative alla vita quotidiana che per gestire delle attività le quali possono essere definite imprenditoriali.
Avremo così dei veri e propri dipendenti dell’EECR, per i quali saranno vigenti le norme (non sempre di facile comprensione) del diritto del lavoro italiano.
Col presente articolo si vuole fare chiarezza su uno degli aspetti più spinosi che possono venire in rilievo per un enti religiosi: il lavoro irregolare, detto anche “lavoro in nero”.
Infatti, la natura di questi enti comporta in non pochi casi la conduzione “familiare” dell’organizzazione del lavoro.
Quindi, per quanto nella buona fede dell’ente religioso, ci possono essere delle circostanze in cui i collaboratori delle congregazioni non sono regolarmente assunti.
Vi possono essere così anche casi di veri e propri contratti orali, che lasciano privo l’ente religioso (nonché il lavoratore) di garanzie scritte nel caso di contestazioni o liti giudiziarie.
Ovviamente, una organizzazione del lavoro non precisa dal punto di vista giuridico può portare conseguenze negative, in particolare in termini di sanzioni pecuniarie, per gli enti religiosi che avessero alle loro dipendenze personale non regolarmente assunto.
Ma cos’è, in definitiva, il lavoro irregolare, o detto anche gergalmente “in nero”?
Lavoro in nero
Si tratta di un tipo di lavoro in cui il datore non ha proceduto, prima dell’inizio della prestazione, a comunicare agli enti previdenziali, ministeriali e assicurativi (INAIL, ITL, INPS) che da una certa data sarebbe iniziato un rapporto di lavoro con un determinato dipendente.
Quindi, per iniziare ad essere in regola, occorre, per ogni dipendente, procedere alle comunicazioni di assunzione.
Al giorno d’oggi, con l’avvento delle possibilità telematiche, tale adempimento consiste nella Comunicazione Obbligatoria (CO), la quale sarà inviata via internet mediante una specifico portale, da un soggetto accreditato (che può essere lo stesso datore di lavoro, ma che in genere è l’avvocato o il commercialista di riferimento, che agirà su delega del datore).
Nella comunicazione obbligatoria, oltre ai dati del datore e a quelli del lavoratore, vanno inseriti i dati del rapporto di lavoro, e in particolare la data di inizio, il tipo di mansione, l’inquadramento contrattuale (in base al quale è stabilito anche il livello di paga del dipendente). Tale adempimento consente di tenersi al sicuro da possibili sanzioni da parte dell’INPS, dell’INAIL o del Ministero per i rapporti di lavoro oggetto di regolare comunicazione.
Da quanto appena scritto, è chiaro che l’assunzione regolare di un dipendente può avvenire unicamente ad opera di un ente riconosciuto civilmente e, in caso di enti religiosi, da un EECR. Ogni altra assunzione è, di per sé, irregolare.
Mancata Comunicazione Obbligatoria
Avere alle proprie dipendenze un lavoratore che non è stato oggetto di CO porta a conseguenze gravi per il datore di lavoro, con sanzioni pecuniarie pesanti per ciascun lavoratore non comunicato.
In primo luogo, per ogni lavoratore per il quale si è omessa o anche solo ritardata la CO all’INPS, il datore di lavoro dovrà pagare una sanzione amministrativa che va da 100 a 500 euro per ogni rapporto di lavoro non comunicato.
Viene poi sanzionata la mancata consegna di copia al dipendente della CO o dei dati in essa contenuti con la sanzione da euro 250 a euro 1500, per ogni lavoratore.
Giova considerare che tali sanzioni si applicano a tutti i tipi di lavoratori, ivi compresi i lavoratori domestici (di cui spesso gli enti religiosi si avvalgono).
La maxisanzione
Fino al novembre del 2010, per i tutti i lavoratori irregolari era prevista a carico del datore di lavoro la cosiddetta maxisanzione.
Infatti, nel caso in cui il lavoratore non fosse iscritto all’INPS, l’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente (ITL) può applicare la maxisanzione: si parte da un minimo di euro 1.500 ad un massimo di euro 36.000 (a seconda del periodo di tempo che il dipendente ha lavorato “in nero”).
Tale sanzione ulteriore era quindi applicata a tutti i lavoratori sino al novembre del 2010, dove poi è stata esclusa per i soli lavoratori domestici per i quali, comunque, restano applicabili le altre sanzioni viste sopra.
Per i restanti lavoratori invece (come il lavoratore esaminato nell’esempio 2 che seguirà tra poco) resta viva la maxisanzione.
Inps e lavoro domestico
Sempre per i lavoratori domestici, occorre considerare che se la comunicazione avviene in ritardo, ma entro un anno dall’inizio del rapporto, le sanzioni Inps riguarderanno solo i trimestri pagati in ritardo (come noto i contributi dei lavoratori domestici sono pagati trimestralmente) secondo quanto disposto dalla legge 388/2000, che prevede un regime sanzionatorio di maggior favore rispetto a quanto in precedenza stabilito.
In particolare, in caso di evasione contributiva la sanzione civile è pari al 30% dei contributi evasi, in ragione d’anno, con un tetto massimo dopo il quale scatteranno solo gli interessi.
***
Il lavoro in nero può essere quindi un problema serio per l’ente religioso a prescindere dal tipo di lavoratore coinvolto.
Per concludere, procediamo a fare due esempi, che presentano due casi ipotetici ma non infrequenti nella pratica quotidiana:
nel primo, il lavoratore alle dipendenze dell’ente religioso è inquadrabile come semplice lavoratore domestico;
nel secondo, il lavoratore, pur dipendente di un ente religioso, è inquadrato come dipendente di un imprenditore per l’attività espletata (ad esempio attività alberghiera o di ristorazione presso la sede dell’EECR).
Esempio 1: lavoratore domestico
Mettiamo il caso che, da qualche tempo sia alle dipendenze dell’ente religioso un lavoratore, accolto fraternamente dall’istituto religioso ma che non è stato assunto seguendo gli adempimenti formali visti sopra.
In questo caso potranno essere applicate le seguenti sanzioni:
– una sanzione amministrativa che va da 100 a 500 euro per mancata CO;
– una sanzione da euro 250 a euro 1500 per la mancata consegna di copia della CO al lavoratore;
– inoltre, occorrerà pagare all’Inps (l’importo varierà a seconda del tempo lavorato) i contributi evasi, con la maggiorazione del 30% in ragione d’anno.
Quindi, anche in caso di semplice lavoratore domestico, le sanzioni possono essere pesanti per il datore di lavoro che, sia pur in buona fede, non provveda alle formalità previste dalla legge.
Esempio 2: lavoratore dipendente di un datore di lavoro qualificato quale imprenditore (ad esempio albergatore o ristoratore)
Mettiamo ora il caso che l’ente religioso abbia una sede di dimensioni ragguardevoli e che nella stessa eserciti un’attività alberghiera o di ristorazione. In questo caso, il lavoratore non potrà più semplicemente essere classificato come lavoratore domestico, ma sarà un lavoratore dipendente di una vera e propria impresa.
Così, come visto, se il rapporto di lavoro non fosse comunicato secondo quanto prescritto dalla legge, si potrebbe incorrere nella maxisanzione vista sopra.
Questa sarebbe particolarmente gravosa per l’ente religioso in quanto, nel caso ci si dimenticasse di effettuare tale comunicazione, la sanzione pecuniaria andrebbe da euro 1.500 a euro 36.000 (quest’ultimo caso si verifica qualora siano trascorsi più di sessanta giorni senza che il lavoratore fosse regolarizzato).
Ulteriori possibili conseguenze
È quindi sempre consigliabile regolarizzare i propri dipendenti, domestici o non che siano.
Inoltre, per quanto le conseguenze viste sopra siano pesanti per l’ente religioso, le stesse riguardano solo le sanzioni che sarebbero comminate dall’Inps, dall’Inail o dall’ITL.
Vi è, infatti, un’altra possibile conseguenza, e cioè che il lavoratore in mala fede, sfruttando la circostanza del datore di lavoro “scoperto” ad assumere in nero, ne approfitti per fare egli stesso causa all’ente religioso per percepire più denaro del dovuto (magari con testimoni compiacenti).
Così, basandosi anche sulla circostanza che il lavoratore era irregolare, potrebbe essere instaurata nei confronti dell’ente religioso una vertenza di diritto del lavoro per chiedere il pagamento di tredicesima, straordinari non pagati, ferie non godute e altre possibili voci che aggraverebbero le conseguenze patrimoniali per l’ente religioso.
Se il vostro Ente Religioso ha bisogno di chiarimenti in merito a questo o ad altri temi, non esitate a contattarci allo +39 06 3671 2232 oppure mediante email scrivendoci a info@dikaios.international.
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