La Corte di Cassazione ha recentemente emesso una sentenza che potrebbe avere serie ripercussioni sulle Congregazioni Religiose che forniscono servizi a pagamento (per esempio: ospitalità, istruzione e cura della salute).
Il caso portato all’attenzione della Corte concerneva una scuola gestita da una Congregazione Religiosa che, così come per tutte le scuole detenute da enti religiosi, non aveva pagato l’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili, ora nota come IMU) relativamente alla proprietà immobiliare in cui sorge la scuola. Il Comune di Livorno ha citato la Congregazione in giudizio affinché la stessa versasse l’imposta. Il giudizio è arrivato dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione (che costituisce il grado finale nella procedura civile italiana), la quale ha deciso in favore del Comune.
Il principio stabilito dalla Corte è il seguente: sebbene le attività quali ospitalità, istruzione e cura della salute, che siano svolte da enti religiosi in una data proprietà, possano rientrare nel regime di esezione IMU, nei fatti tale regime si applica solo ove sia provato che l’attività è svolta in “maniera non commerciale”. L’onere di provare tale elemento ricade sull’ente che richiede l’esenzione.
La Corte ha spiegato che i seguenti elementi non sono sufficienti a provare che l’attività è svolta in “maniera non commerciale”:
Ed invero, secondo la Corte, la mera circostanza che i servizi siano forniti a pagamento è sufficiente a considerare l’attività come “commerciale”.
Il principio fissato dalla Corte potrebbe avere un impatto senza precedenti su tutte le attività condotte dalle Congregazioni Religiose per le quali queste ultime chiedono un corrispettivo, anche qualora tale corrispettivo fosse giusto e tale da escludere qualsiasi profitto per l’ente religioso.
Ovviamente, la sentenza concerne un caso specifico ed è direttamente applicabile solo a tale caso. In altre parole, non vi sarà un’automatica tassazione ai fini IMU di tutte le scuole cattoliche italiane. Inoltre, vi potrebbero essere decisioni contrastanti da parte di altre sezioni della Suprema Corte, e tale conflitto sarebbe risolto in seno alle Sezioni Unite della Corte.
Ciò detto, il precedente stabilito dalla Suprema Corte colpisce potenzialmente tutte le attività “commerciali” degli enti religiosi, ove per “commerciali” si intendono tutte le attività in cui viene chiesto del denaro in cambio di servizi, senza tener conto se l’attività sia a scopo di lucro o se essa comporti un guadagno o una perdita. Dalla decisione della Corte è possibile inferire che l’unica attività permessa ad una congregazione che voglia usufruire dell’esenzione IMU è quella caritatevole, ovvero quella per cui la congregazione non riceve alcun corrispettivo per la prestazione dei suoi servizi.
La suddetta sentenza — che potrebbe mettere in crisi una larga parte delle attività svolte dalla Chiesa in Italia nel sociale — è stata aspramente criticata dalla CEI e da molti parlamentari. Probabilmente dovremo aspettarci delle iniziative da parte loro nei prossimi mesi.
In ogni caso, poiché la Corte ha in parte basato la propria decisione sull’interpretazione delle leggi e direttive comunitarie regolanti la concorrenza sleale e gli aiuti di stato (aree dove l’Italia è risultata più volte soccombente in passato dinanzi alle Corti Comunitarie), è difficile prevedere che un’eventuale futura legislazione nazionale possa rendere nulla o eludere la sentenza in parola. Siamo di fronte, ancora una volta, alla testimonianza dei profondi cambiamenti nei rapporti tra Stato italiano e Chiesa.
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