Oggi offriamo un’introduzione alla cosiddetta “finanza sostenibile”, una realtà in continua crescita, con varie implicazioni per i risparmiatori come le Congregazioni Religiose (CR).
Le CR e gli altri Enti Ecclesiastici (EE) possono essere muniti di liquidità anche considerevoli.
Così, è del tutto naturale che le CR e gli EE si avvalgano di strumenti finanziari come le azioni, le obbligazioni e i titoli di Stato, sia per preservare il valore patrimoniale, sia per tenere al sicuro gli importi, spostandoli dal conto corrente.
La gestione patrimoniale dovrà essere prudente e dovrà rispettare la destinazione universale dei beni propria della Chiesa. Inoltre la gestione dovrà provvedere alla necessità dell’Ente Ecclesiastico di avere fondi per sostenere le proprie attività.
Ma tali accortezze potrebbero non bastare per “promuovere” la condotta finanziaria dell’Ente Ecclesiastico, in particolare nell’epoca e nella situazione dei mercati finanziari attuali.
Infatti, dopo la crisi del 2007, ci si è resi conto che vere e proprie catastrofi economiche possono essere determinate dalle modalità operative tipiche dei mercati e degli operatori istituzionali (come le Banche o i Fondi di investimento). Dinamiche troppe aggressive e orientate al solo profitto, che tralasciano altri aspetti e in particolare quelli che vanno a incidere sulla cosiddetta economia reale, si sono rilevate controproducenti anche per i mercati finanziari che, all’inizio, se ne erano avvantaggiati.
Quindi, dopo la crisi, sia dal punto di vista accademico – con la pubblicazione di numerosi articoli scientifici – che dal punto di vista dell’attività concreta degli operatori economico/istituzionali, si è fatto sempre più strada il concetto di SRI, ovvero Socially Responsible Investment (“investimenti socialmente responsabili”).
Tale concetto, in una prima approssimazione, può essere definito come una strategia finanziaria che prende in considerazione non solo il rendimento di un investimento, ma anche il suo impatto sull’ambiente, sull’etica e sulla società.
Tale approccio non è del tutto nuovo nello scenario storico: si pensi all’epoca della schiavitù americana, ove alcuni si rifiutavano di partecipare a tale commercio. O, ancora, a scelte fatte in passato da diversi investitori di evitare di investire in imprese dedite al gioco d’azzardo.
Oggi, peraltro, tali sensibilità stanno assumendo un aspetto sempre più strutturato e complesso, ricevendo l’attenzione sia da parte dei mercati che delle organizzazioni internazionali. In particolare, anche le Nazioni Unite sono intervenute sull’argomento.
Infatti, sulla scorta della sensibilità che si è venuta a creare per la finanza etica, il Segretariato dei Principi per l’Investimento Responsabile (PRI), organo delle Nazioni Unite, ha promulgato in collaborazione col mondo della finanza i Principi per l’Investimento Responsabile, evidenziando la rilevanza finanziaria delle tematiche ambientali, sociali e di buon governo aziendale (Environmental, Social and Governance – ESG).
Tali principi possono essere sottoscritti dagli operatori dei mercati finanziari, che si impegnano in questo modo a rispettare una serie di adempimenti e di scadenze per garantire la sostenibilità degli strumenti finanziari e per garantire in generale il proprio agire finanziario.
Ma cosa significa tutto ciò per una Congregazione Religiosa o altro Ente Ecclesiastico che voglia investire in strumenti finanziari?
Una risposta semplificata è che in questo momento, quando la CR o l’EE decide di investire, può scegliere due strade:
quella dei titoli (azioni, obbligazioni etc.) “ordinari”, emessi da un soggetto (ad esempio una banca) che non ha sottoscritto i principi ESG;
quella di un titolo “di qualità”, cioè un titolo emesso da un soggetto sottoscrittore dei principi ESG, che ha le caratteristiche per soddisfare i principi di finanza sostenibile.
Con un esempio si potrà chiarire meglio l’aspetto ESG_SRI di un investimento:
due società energetiche emettono due diversi tipi di titoli (ad esempio, delle obbligazioni).
La prima società è sottoscrittrice dei principi ESG, e il rendimento del titolo che emette è collegato all’andamento delle energie rinnovabili. Quindi, più energia rinnovabile viene prodotta durante la vita del titolo più esso acquista valore. La seconda società, invece, non è sottoscrittrice dei principi ESG, e il rendimento del titolo che emette è collegato all’andamento della produzione energetica delle centrali basate su combustibili fossili. Quindi, ad esempio, il rendimento aumenterà se tale modalità di produzione energetica (carbone, petrolio) aumenta.
In questo secondo caso, come è evidente, il titolo potrà anche rendere, ma si produrranno delle emissioni nocive per l’atmosfera. Quindi il titolo potrà anche avere un ottimo rendimento, ma di tale rendimento ne farà le spese l’ambiente, e quindi la collettività.
Nel primo caso, invece, le energie prodotte deriveranno da fonti rinnovabili (come l’eolico), quindi il rendimento del titolo si verificherà ma l’ambiente sarà preservato grazie alle emissioni molto contenute o pari a zero. Il titolo collegato alle energie rinnovabili potrà essere dichiarato ESG_SRI, e costituirà un investimento più etico del secondo.
Le implicazioni per gli Enti Ecclesiastici sono evidenti: l’investimento in prodotti o strumenti ESG mette al riparo dal cosiddetto “rischio reputazionale”, consentendo all’EE di investire in strumenti che non nascono solo per il mero profitto ma che seguono le direttive e i principi della finanza sostenibile.
Tali principi mettono quindi al riparo l’Ente Ecclesiastico da addebiti circa la propria condotta. In particolare, evitano che ci sia contraddizione tra quanto si professa e quanto si pone in essere col proprio comportamento. I rischi degli investimenti non sono dunque riconducibili solo al mero ritorno finanziario, e anzi quelli reputazionali sono anche difficilmente quantificabili e non semplicemente economici. È quindi sempre auspicabile che nel proprio portafoglio ci siano solo titoli compatibili con la propria mission.
Ma gli ESG meritano attenzione anche sotto un altro punto di vista. Infatti, al 2020, troviamo oltre 2000 società che hanno sottoscritto i principi adottati dalle Nazioni Unite. Parliamo di grandi realtà economiche: circa 300 di queste gestiscono asset superiori a 50 miliardi di dollari ciascuna.
Questa enorme capitalizzazione denota una fiducia degli operatori anche sulla redditività di tali titoli di finanza sostenibile. Si sta cioè facendo strada l’idea che in futuro i titoli più redditizi saranno proprio quelli collegati ad obiettivi etici, sociali ed ambientali, in quanto capaci di preservare valori “altri” e diversi dal mero profitto, che ha invece dimostrato di essere una bussola poco efficiente (vedi la citata crisi del 2007) anche ai fini del rendimento finanziario.
Qualora vogliate approfondire con noi gli aspetti evidenziati in questo articolo o necessitiate di un consiglio per un investimento socialmente responsabile, potete, come al solito, contattarci a info@dikaios.international oppure al numero +39 06 3671 2232.
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