26 Luglio 2021

Tassa sui rifiuti: anche gli Enti Ecclesiastici devono pagare. La recente pronuncia della Corte di Cassazione

Con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha chiarito che anche gli enti ecclesiastici devono pagare la tassa sui rifiuti.

La vicenda nasce da una cartella esattoriale del Comune di Roma, seguita da un preavviso di fermo amministrativo. Tali atti erano stati entrambi recapitati al Pontificio Istituto Biblico (di seguito PIB), per il pagamento della tassa sui rifiuti (TARI) dell’anno 2012, pari a circa 70.000,00 €.

Questi atti (il preavviso e la cartella) sono stati impugnati dal PIB, che si riteneva leso nei suoi diritti perché l’istituto è espressamente indicato dai Patti Lateranensi tra i soggetti esenti dal versamento dei tributi (art. 16 dei Patti Lateranensi).

A questo punto, prima di proseguire, è necessario chiarire che per il diritto italiano, in materia tributaria, sono previsti tre possibili gradi di giudizio:

  1. il giudice denominato Commissione Tributaria Provinciale (di seguito CTP);
  2. il giudice denominato Commissione Tributaria Regionale (di seguito CTR);
  3. la Corte Suprema di Cassazione.

Così, dopo l’impugnazione della cartella esattoriale da parte del PIB, ha avuto inizio il primo grado di giudizio, dinanzi alla CTP. In questa prima fase, il PIB è uscito sconfitto dalla causa, il ricorso è stato rigettato e gli atti impugnati – la cartella e il preavviso di fermo – sono stati confermati.

Tale sconfitta era dovuta al fatto che la CTP non riteneva la TARI un “tributo”, ma la qualificava come il “corrispettivo” del servizio di raccolta rifiuti. Per questo motivo, non era applicabile l’esenzione di cui parla l’art. 16 dei Patti Lateranensi, in quanto l’esenzione si riferisce ai soli “tributi”.

Questa prima sentenza è stata impugnata dal PIB dinanzi al Giudice dell’appello, la CTR.

E, questa volta, i Giudici di appello hanno dato ragione al PIB: la TARI non era più qualificata come “corrispettivo” (come l’aveva qualificata la CTP in primo grado), ma quale “tributo”(!).

Così, sia per la CTP (in primo grado) che per la CTR (in secondo grado) la questione ruotava attorno alla qualificazione della natura della TARI: per la CTP non è un tributo, mentre per la CTR lo è. Pertanto, in secondo grado il PIB usciva vittorioso dal giudizio.

Infatti, avendo la CTR qualificatala TARI quale “tributo”, si è potuta applicare la norma in base alla quale “gli immobili […] sono esenti da TRIBUTI sia ordinari che straordinari, presenti e futuri, tanto verso lo Stato quanto verso qualsiasi altro ente, senza necessità di ulteriori e specifiche disposizioni di esenzione” (cfr. art. 6 L. 137/2016, attuativo dell’art. 16 dei Patti Lateranensi).

Il Comune di Roma, soccombente in secondo grado, proponeva ricorso per Cassazione, dando così inizio al terzo e ultimo grado di giudizio.

In questo ultimo grado di giudizio, la decisione era ulteriormente (e definitivamente) ribaltata dalla Corte di Cassazione.

Il ragionamento della Suprema Corte si può riassumere come segue:

  • le norme dei Patti Lateranensi sono norme tra due Stati: la Repubblica Italiana e lo Stato Pontificio;
  • i Patti Lateranensi non avrebbero un carattere immediatamente “coercitivo” ma, trattandosi di diritto internazionale, avrebbero un carattere “programmatico”, che impegna lo Stato (italiano o pontificio) a introdurle nel proprio ordinamento;
  • pertanto, i Patti Lateranensi, come le altre norme di diritto internazionale, non sarebbero direttamente applicabili in Italia, ma occorre che siano “attuate” dallo Stato Italiano mediante ulteriori leggi, affinché le norme internazionali diventino effettivamente “leggi” italiane.

La Corte di Cassazione porta l’esempio dell’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili): lo Stato italiano, mediante una normativa specifica (DLgs 504/1992, art. 7) ha specificamente previsto l’esenzione dall’ICI per gli immobili ecclesiastici.

Tale specifica previsione invece non c’è stata per la TARI. 

La mancanza di una specifica previsione, secondo la Corte di Cassazione, sottolinea la differenza tra la natura della Tari e quella di altre imposte (come l’ICI).

Infatti, si può dire che l’ICI è un tipo di imposta che colpisce il “valore” di un determinato bene (cioè la sua capacità di produrre un reddito); mentre la TARI non dipende da un valore e non colpisce un reddito, ma può essere configurata come un “corrispettivo” per il servizio di raccolta dei rifiuti.

Il corrispettivo per la raccolta dei rifiuti è calcolato in base alla capacità dell’immobile di produrre rifiuti, che a sua volta corrisponde (grosso modo) alla superficie dell’immobile, anziché al “pregio” dell’immobile stesso.

Ed è proprio quest’ultimo che è stato un punto di rilievo assai significativo ai fini della decisione: quello relativo alla circostanza che l’edificio di cui si tratta non è un edificio destinato al culto. Infatti, in base al regolamento comunale di Roma n. 24 del 2003, articolo 10, tali tipi di edifici, cioè quelli adibiti al culto pubblico, rientrano tra quelli incapaci di produrre rifiuti per la loro natura e caratteristiche, e quindi la loro superficie non va calcolata ai fini della TARI.

Pertanto, dato che:

  • l’esenzione dalla tassazione è stata esplicitamente prevista per alcuni tipi di imposte, ma non per la tassa nota come TARI;
  • l’immobile in questione non è adibito a luogo di culto, e quindi va computato ai fini del calcolo dell’imposta;

la Corte di Cassazione ha rigettato le richieste del PIB, che quindi è tenuto al pagamento della tassa sui rifiuti.

Perciò, per gli Enti Ecclesiastici è opportuno, in caso di dubbi sul pagamento della TARI, verificare se e quanto è dovuto per il servizio di raccolta rifiuti. Infatti, il Comune può agire nei confronti dell’Ente Ecclesiastico inadempiente fino a cinque/dieci anni addietro (a seconda degli indirizzi giurisprudenziali), chiedendo il pagamento della Tassa oltre interessi di mora e sanzioni per il mancato versamento.

Scriveteci a info@dikaios.international per chiederci di analizzare la vostra situazione, se avete dubbi.

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